Venerati come divinità o temuti come demoni, i gatti da oltre cinquemila anni accompagnano l’esistenza dell’uomo. Misteriosi, sfuggenti, ma sempre a proprio agio in qualsiasi luogo, si sono affermati con imponenza nella nostra società e cultura, divenendone spesso protagonisti.
Nel precedente articolo dedicato a questa rassegna abbiamo visto come nell’antichità, soprattutto ai tempi degli egizi, il gatto era un animale rispettato e venerato, considerato addirittura una creatura magica, portatrice di fortuna e spiritualità, e il cui fascino era associato al mondo femminile in un’accezione molto positiva.
I nobili consideravanoi gatti portatori di ricchezze, di status e di grazia e per la gente comune erano visti come alleati, poiché si dedicavano alla caccia diserpenti, uccelli e topi.
Nel Medioevo, purtroppo, con l’avvento del Cristianesimo, si assiste a un radicale cambiamento di giudizio. La natura misteriosa e solitaria del gatto, così come l’associazione all’elemento femminile, passa rapidamente nelle ombre della superstizione, e vediamo diventare il gatto il demoniaco compagno delle streghe. Fu così che i felini cominciarono ad essere perseguitati come simboli di eresia o paganesimo, di maledizione o malaugurio.
Nel XII secolo l’associazione gatto-diavolo è talmente radicata, che riferimenti alla sua perversa venerazione si ritrovano anche nelle carte processuali: tra le accuse mosse a gruppi religiosi eretici vi era anche quella di adorare i gatti. Era il 1233 quando Papa Gregorio IX promulgò la bolla papale nella quale sosteneva che i gatti neri erano espressione demoniaca. Anche all’inizio del XIV secolo, durante il processo ai Templari, non mancava l’accusa di far partecipare i gatti alle cerimonie religiose e di pregare per essi.
Tutto quello che nell’epoca antica era stato motivo di ammirazione e venerazione, adesso diventa motivo di persecuzione: l’associazione all’elemento femminile ricollega direttamente alla figura di Eva, la capacità predatoria, tanto apprezzata dal popolo, li bolla nel medioevo come diretti emissari del diavolo.
Per tali motivazioni nell’arte medioevale non si ritrovano grandi opere che vedono come protagonisti i gatti e che rendono giustizia alla loro bellezza e fascino. Al contrario, nelle rappresentazioni di quest’epoca, i nostri amati felini sono caratterizzati da musi piccoli che sovrastanocorpi schiacciati e irrealistici. Questo non era dovuto alla scarsa abilità degli artisti, ma al loro intento di rappresentare l’animale in un’accezione maligna.
Simbolo di pigrizia e lussuria, tradimento e inganno, nell’iconografia cristiana medioevale sono addirittura rappresentati insieme a Eva durante la cacciata dall’Eden, e spesso sono associati al topo o al cane, con i quali ingaggiano una lotta, come nelle figure sottostanti.
Nell’Ultima cena di Pietro Lorenzetti (1320) si apre a sinistra lo scorcio di una cucina, con due inservienti che danno gli avanzi del pasto ad un cane e un gatto. Il cane era diventato nel Medioevo simbolo di fedeltà, quindi una possibile interpretazione dell’immagine dello scontro con il gatto potrebbe essere la lotta tra il bene e il male. Tuttavia, l’atteggiamento dei due animali sembra mite, quindi un’altra possibile interpretazione, che noi maggiormente preferiamo, è semplicemente quella di dare alla scena un senso di quotidianità.
Le ostilità verso il gatto proseguono per tutta l’epoca medioevale fino al 1484, quando papa Innocenzo VIII dichiarò che il gatto era l’animale del diavolo e di tutte le streghe scomunicandolo, e questi poveri felini dovettero subire, oltre a ogni tipo di violenza, delle vere e proprie persecuzioni che sfociavano poi nella morte al rogo insieme alle streghe.
Tuttavia, anche in questa epoca molto influenzata dal Cristianesimo e della superstizione, vi erano molte persone, membri della nobiltà ed ecclesiastici, che tenevano nelle proprie abituazioni dei gatti come animali da compagnia. Ad esempi si dice che nel 1265, solo pochi decenni dopo l’emanazione della bolla papale, Eleonora Plantageneto, contessa di Leicester e nipote di Riccardo Cuordileone, abbia acquistato un gatto.
La cattiva fame del gatto, pur diminuendo e in parte modificandosi, continuò nei secoli, ma già nel Rinascimento ci furono geni come Durer e Leonardo, Tintoretto e Veronese che furono ammiratori dei gatti e li inserirono nei loro dipinti in ruoli sempre più significativi, riscattando la loro immagine ingiustamente deturpata.
Ma questo ve lo racconteremo nel prossimo articolo dedicato a questa rassegna!
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Grazie, articolo molto interessante per chi come noi ama questi piccoli grandi compagni di vita ❤️
Grazie di cuore Silvia 🙂